Le regole della "vita emotiva" nella Chiesa Cattolica

2014-11-07Pubblicato da Claudio Esposito

 

di Anna Tonelli

 

Le regole della ‘vita emotiva’ nella Chiesa Cattolica

Tra i compiti che la Chiesa considera come prioritari, l’educazione ai sentimenti rientra pienamente nel disegno di formare e modellare l’individuo secondo un progetto educativo che non conosce soste né prevede ostacoli nel corso del tempo.

Dimostrando un’unità di pensiero e azione che presenta sostanziali persistenze di lungo periodo, l’attività delle gerarchie e delle varie associazioni e strutture collaterali cattoliche si concentra sulla necessità di diffondere una sorta di sillabario che funzioni come efficace pedagogia sentimentale.

Dall’Ottocento fino al secondo dopoguerra, con successivi interventi durante gli anni Sessanta e Settanta, si verifica una mobilitazione del mondo cattolico che utilizza vari strumenti e metodi per rivolgersi ai propri interlocutori con la proposta di un modello etico al quale riferirsi. Di qui l’attenzione costante all’universo degli affetti e dei sentimenti che si traduce nella volontà di entrare nel vissuto degli uomini e delle donne, ma ancor di più degli adolescenti, con l’intenzione di occuparsi dei rapporti fra i sessi, dell’amore, del matrimonio, dell’idea di famiglia, della sessualità e dei comportamenti nell’ambito pubblico e privato. Quella che storiograficamente viene definita da Lucien Febvre la «vita emotiva»1 rappresenta per i cattolici un campo di intervento privilegiato, ove esercitare un ruolo determinante nella formazione del ‘buon cittadino’ prima ancora che del ‘buon cristiano’.

I pericoli di scristianizzazione che periodicamente si affacciano nella lettura della realtà contingente sono visti come motivi per incrementare iniziative e attività finalizzate ad arginare tendenze e abitudini destinate a mettere in discussione l’ethos cristiano.

La capillare azione che si intensifica di fronte alla cosiddetta modernizzazione dei costumi è così volta alla costruzione di una morale funzionale all’attribuzione del posto che i cattolici devono assumere dentro la società, o per dirla con Traniello, nella «città dell’uomo»2. Gli interlocutori della politica educativa non sono solo i cittadini appartenenti alla comunità dei credenti, ma individui anche non esplicitamente praticanti, di entrambi i sessi, ripartiti secondo le età, verso i quali è necessario approntare un preciso piano di interventi.

A questo disegno devono concorrere figure diverse: dai genitori agli educatori, dai sacerdoti ai maestri, dai familiari ai pedagoghi, tutti impegnati a vario titolo a fornire le direttive per formare una corretta educazione sentimentale.

Tale impegno, che assorbe le energie e le risorse di un’attività intensa ed efficace, adatta incessantemente le varie politiche educative alle trasformazioni culturali, di costume e di mentalità. Spesso cambiano i soggetti e gli oggetti di questa mobilitazione morale, ma rimane invariata la finalità di costruire l’egemonia cattolica sul terreno della formazione e della trasmissione dei valori.

Se per la prima fase post-unitaria l’intento di trasmettere un codice etico rispettoso dei principi cattolici funziona come collante di un paese in cerca di identità, più difficoltosa ma ugualmente propositiva risulta l’opera di penetrazione nel tessuto della società di fine secolo, allorché le sfide dell’industrializzazione e della modernizzazione pongono l’esigenza di approntare un approccio più innovativo e convincente per rispondere ai mutamenti in atto, non ultimi quelli rappresentati dalla cultura politica dei partiti progressisti.

Una ridiscussione dell’impianto educativo diventa necessaria negli anni Trenta, di fronte a un regime fascista che impone precisi orientamenti sul piano formativo. Nella complessa compresenza di due morali che cercano la supremazia l’una sull’altra nell’irrisolto rapporto fra etica cattolica ed etica fascista, va individuato un rinnovato impegno dei cattolici a mantenere salde le redini della formazione dell’individuo, pericolosamente minacciata dallo ‘stato etico’ di Mussolini.

Confrontandosi con un modello di educatore plasmato con le armi della dittatura che mira a trasmettere valori condivisi quali la serietà, il sacrificio, la disciplina, i cattolici provano a salvaguardare il costume cristiano come indipendente dalla pedagogia fascista, contando su una tradizione dottrinaria di indubbia efficacia. Comune può essere l’obiettivo di contrapporsi alla società borghese considerata come simbolo di «mollezza» morale, ma diverse sono le strategie da intraprendere. Per Mussolini l’impegno maggiore va diretto contro un «edonismo facile e superficiale» in grado di provocare uno «stordimento perpetuo, in una ricerca ardente e mai sazia di nuove emozioni»3, con la promozione di una moralità capace di investire ogni aspetto della vita quotidiana, pubblica e privata, come requisito indispensabile per sentirsi parte di un’Italia che nobilita l’individuo anche attraverso la sua condotta. Il trascurare i propri affetti o il condurre una vita sregolata costituiscono un danno per la famiglia, il partito, lo stato. In questa direzione si rende concreta la politica del privato, tanto da essere giudicata come parte integrante di un’esperienza politica che fonda la propria stabilità anche e soprattutto sul controllo delle emozioni e dei sentimenti attraverso un’educazione funzionale sociale4.

Dovendo fare i conti con questa ferrea politica che investe con vigore l’educazione sentimentale, i cattolici sono chiamati a reagire, non tanto né solo per contrapporsi, ma per ribadire una leadership educativa mai messa in discussione fino in fondo. È per questo che anche durante il Ventennio il fervore cattolico non accenna a frenare, con particolari accenti proprio in merito a comportamenti e moralità.

Il vuoto aperto dalla caduta del regime fascista, nel pur complesso percorso che porta alla rinascita della democrazia, determina la possibilità di recuperare appieno quell’antica egemonia culturale attraverso una campagna che assume come missione il ripristino della moralità, una delle costanti non solo della dottrina religiosa, ma anche dell’impegno politico. Per moralità si intende un ventaglio molto ampio di opzioni comprendenti la famiglia e la sessualità, i comportamenti pubblici e privati, il tempo di lavoro e il tempo libero, in riferimento all’individuo e alla collettività. Sfumature varie e molteplici, che possono rientrare in un giustificato impegno per definire una compiuta opera di educazione ai sentimenti.

Così come era successo per i periodi precedenti, si rinnova l’opera di diffusione di testi di studio, racconti morali, romanzi, libri di cultura religiosa, manuali spirituali, meditazioni per adolescenti, corsi di esercizi spirituali, atti che ribadiscono la volontà dei cattolici di candidarsi come guida per intere generazioni. Le varie case editrici di ispirazione cattolica – Vita e Pensiero, Ave, Pia Società San Paolo, Lice, Sales, Elledici, Marietti, solo per citare le più importanti – accanto ad altrettanto numerose tipografie locali legate agli ordini religiosi, stampano ogni anno centinaia di titoli che affrontano il tema sotto diversi profili, in forma di manuali per educatori o educatrici, e di breviario per i giovani5.

La formazione comincia con l’approfondimento delle direttive dell’alta dirigenza ecclesiastica, a partire dalle encicliche papali, ma poi si allarga a considerare tutti gli aspetti teorici e pratici che coinvolgono la dimensione privata, con testi di cultura religiosa contenenti istruzioni precise sui modi di educare, i mezzi da impiegare, le strategie da mettere in atto per una corretta impostazione del problema.

Nella maggioranza dei casi si utilizzano i tradizionali generi letterari, tra i quali il dialogo con domanda e risposta, i racconti morali di facile lettura, le biografie di sante o beate da prendere come esempio, i romanzi sentimentali: schemi narrativi semplici capaci di alternare le metafore del bene e del male, attraverso la proposizione di una religiosità ascetica e sentimentale di sicura presa sul lettore. Pagine di orientamento e formazione utili a fornire le direttive di una vita emotiva da inquadrare dentro steccati ben precisi, al di fuori dei quali si possono trovare solo pericoli e rischi da evitare.

Ma tale schema educativo che regge per diversi decenni, comincia a essere inadeguato nel periodo successivo, soprattutto fra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta, con un’accelerazione ulteriore determinata dagli spunti innovatori del concilio Vaticano II. Le sfide della modernità, rese ancora più acute dal compiersi del miracolo economico, finiscono per mettere in crisi non solo i codici ideologici, ma pure le strutture e i riferimenti concreti dell’organizzazione cattolica. Gli studi di sociologia religiosa mettono in luce comportamenti e pratiche in dissonanza crescente con le direttive della morale cattolica: incremento dei matrimoni civili, decisione di non battezzare i figli, aperture nei confronti del controllo delle nascite, approvazione dei rapporti sessuali prematrimoniali6. Si tratta di orientamenti diffusi, percepiti attraverso gli strumenti delle inchieste, delle ricerche e dei sondaggi che registrano un mondo in movimento, di fronte al quale colpisce «l’immutata, acritica sicurezza» di una dottrina che rivela «la sua evidente insufficienza rispetto ai problemi sociali dell’epoca»7. In questo contesto si inserisce il concilio che, al di là dei suoi esiti dottrinali, contribuisce ad aprire ulteriori solchi nella travagliata riflessione intorno all’identità dei cattolici, favorendo lo sviluppo di un’opposizione nei confronti delle posizioni difensive di una Chiesa preoccupata solo di demonizzare l’offensiva anticlericale e laicista. Di qui l’affermazione delle varie espressioni di quello che ormai comunemente viene definito «dissenso cattolico»8 e «copre intenzioni e posizioni diverse»9, ma in cui si ritrovano coloro che manifestano un bisogno di libertà e ricerca espresso in un sentire religioso maggiormente legato ai temi del vissuto10. I continui appelli a una chiesa più vicina alle necessità dei fedeli, «al servizio dell’uomo», si traducono in posizioni talvolta distanti dai principi codificati, ma capaci di aprire varchi in un’elaborazione che si propone di far prevalere la prassi sulla teoria.

Tale riflessione si amplifica in un confronto necessario anche con il movimentismo degli anni Sessanta che allarga la spinta alla libertà di azione e di pensiero fino a toccare confini che riguardano il privato. Coloro che si professano cattolici cercano di sciogliere i vincoli più rigidi, nei quali stentano a riconoscersi, per intraprendere esperienze autonome in grado di rendere visibili le differenze dalle dirigenze ecclesiastiche. E la «diversità» si misura nella volontà di collegare la fede alla società, cercando di interpretarne le trasformazioni in corso. Un fenomeno esteso, contagioso, che viene compreso in un «vasto movimento spirituale di base definito come un’altra chiesa», non tanto per evidenziare lo scisma dall’istituzione Chiesa, ma per sottolineare la «dimensione comunitaria, il luogo più compiuto del rinnovamento»11. Temi come «il Concordato, il divorzio, la scuola confessionale, il celibato ecclesiastico, il ruolo della donna» vengono introdotti nella vita delle comunità non solo come motivi di discussione, ma pure come dimostrazione dell’impossibilità dei cattolici di rimanere avulsi da un contesto in mutazione. Accanto alle elaborazioni culturali infatti, si manifestano comportamenti religiosi e morali che cercano un contatto meno conflittuale con il mondo moderno ‘modellato’ attraverso una coscienza più avvertita dei cambiamenti in atto. Per questo diventa legittimo discutere di controllo delle nascite, di sessualità e dei vari aspetti legati all’amore, anche e soprattutto dopo la diffusione dell’Humanae vitae, l’enciclica di Paolo VI del 25 luglio 1968 contro l’uso degli anticoncezionali. Non sempre a tali riflessioni corrispondono comportamenti coerenti, anche per la difficoltà dei movimenti di attecchire su larga scala, pur lasciando «tracce impresse» della vitalità di «una presenza diversa nella vita e nelle lotte politiche, sociali e civili»12. Ma il contributo si può misurare nell’aver colto e rielaborato orientamenti e tendenze sociali e morali che riguardano il modo di essere cittadini dentro la nuova società, senza negare la propria coscienza cristiana.

Nuova linfa alla discussione su questi temi viene portata dal dibattito sul divorzio, prima in riferimento all’approvazione della legge 898 del 1970, poi al referendum abrogativo del 1974. Ma si tratta di un confronto che pone come priorità l’aspetto politico e relega in secondo piano la vita vissuta. Un orientamento che caratterizza anche il modo di affrontare i temi etici nell’età contemporanea, riguardanti l’aborto, la procreazione nel caso di fecondazione assistita, l’eutanasia e il testamento biologico. Questioni che concernono l’intero ciclo della vita dalla nascita alla morte nei quali anche l’educazione ai sentimenti ricopre un ruolo determinante per la formazione delle coscienze.