Le emozioni tra attaccamento e metacognizione

2014-11-06Pubblicato da Tommasina Parente

 

Salve, volevo condividere questo importante articolo di Liotti.

Tratto da “Il nucleo del Disturbo Borderline di Personalità: un'ipotesi integrativa” di Giovanni Liotti
Disorganizzazione dell’attaccamento e molteplicità della rappresentazione di sé
La teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969, 1988) sostiene che l’esperienza fatta dal bambino durante le prime esperienze di attaccamento viene racchiusa in particolari strutture della memoria implicita (Amini et al., 1996), chiamate Internal Working Models (Modelli Operativi Interni, MOI). I MOI contengono la rappresentazione di sé e del genitore nelle relazioni di attaccamento, e guidano il comportamento di attaccamento di conseguenza (Bowlby, 1973, 1988; Bretherton, 1985, 1990). E’ grazie all’azione di diversi MOI che il comportamento di attaccamento, di per sé innato, si differenzia in funzione dell’esperienza e viene organizzato secondo i tre pattern (sicuro, evitante, resistente), oppure risulta disorganizzato.
Nel pattern sicuro, il MOI contiene una rappresentazione unitaria, coerente ed organizzata di sé e della figura di attaccamento, in cui le emozioni provate dal sé sono valutate positivamente perché validate da una figura di attaccamento disponibile ed affidabile. Nel pattern evitante, le emozioni di vulnerabilità del sé sono viceversa rappresentate come una fonte di fastidio per la figura di attaccamento, e quindi come qualcosa da evitare di esprimere. Nonostante la rappresentazione negativa delle emozioni di attaccamento, il MOI del pattern evitante conserva sufficienti caratteristiche di unità, coerenza e organizzazione. Anche il MOI del pattern resistente permette una sufficiente coerenza rappresentativa: la figura di attaccamento è rappresentata come imprevedibile nelle sue risposte, mentre il sé è rappresentato, ancora unitariamente, come disposto a manifestare con particolare energia e continuità le proprie emozioni di attaccamento, in modo da controllare i movimenti (altrimenti imprevedibili) di allontanamento dell’altra persona. Nel MOI che corrisponde alla disorganizzazione dell’attaccamento, invece, ogni anche relativa unità e coerenza rappresentativa è inesorabilmente e gravemente infranta (Hesse & Main, 1999; Liotti, 1992, 1995, 1999a, 1999b; Main, 1991).
Disorganizzazione dell’attaccamento e deficit nello sviluppo metacognitivo
Una linea di ricerca di grande interesse teorico e clinico connette l’insicurezza nell’attaccamento in generale, e la DA in particolare, a deficit nello sviluppo e nell’esercizio delle funzioni metacognitive (Flavell, 1979).
Un serio deficit nel monitoraggio metacognitivo – cioè della capacità di osservare le operazioni mentali del pensiero e dell’affettività mentre si svolgono, così da poterne controllare il decorso – è caratteristico delle relazioni al cui interno compare la DA (Main, 1991; Main, 1995; Main & Hesse, 1992; Main & Morgan, 1996). Anche un’altra funzione dipendente dalla metacognizione, la capacità del Sé di riflettere sugli stati mentali (pensieri, emozioni, convinzioni, ricordi) come entità discrete, relative e soggettive, sembra particolarmente compromessa nelle relazioni di attaccamento insicuro, e quindi anche di attaccamento disorganizzato (Fonagy et al., 1995). Certamente, la sicurezza dell’attaccamento nel primo anno di vita è correlata alla maggiore capacità di superare, fra i tre e i cinque anni, i compiti di falsa credenza che dimostrano l’avvenuta costruzione, da parte dei bambini, di una Teoria della Mente (Meins, 1997). Dunque, i bambini con attaccamento sicuro mostrano, rispetto ai bambini con attaccamento insicuro e disorganizzato, una facilitazione delle funzioni metacognitive implicate nella distinzione fra apparenza e realtà (su cui si basano i compiti di falsa credenza: Flavell, Flavell & Green, 1983; Wimmer & Perner, 1983). Adolescenti con storie indicative di DA mostrano certamente una minore capacità di pensiero logico-formale rispetto a coetanei di eguale intelligenza ma con storie di attaccamento sicuro o insicuro-resistente e insicuro-evitante (Jacobsen, Edelstein & Hoffmann, 1994) [Nota 3: La capacità adolescenziale di operazioni formali, ipotetico-deduttive, del pensiero, come definita da Jean Piaget, è correlata alla capacità di decentramento, a sua volta correlata alla metacognizione (Flavell, 1963)]. Adolescenti che certamente erano stati disorganizzati nell’attaccamento precoce (ad un anno di età) venivano considerati dagli insegnanti, in un recente studio, più portati ad "assentarsi mentalmente", cioè ad entrare in uno stato di attenzione e di coscienza simile ad una trance spontanea (Carlson, 1997): anche tale propensione a stati dissociativi della coscienza è indicativa di ridotto o disfunzionale uso delle capacità metacognitive.
Ora, è evidente che il monitoraggio metacognitivo e la capacità di riflettere sugli stati mentali propri ed altrui sono pre-condizioni essenziali per regolare e modulare l’esperienza emotiva tanto in solitudine che durante gli scambi interpersonali. La metacognizione e la "Teoria della Mente", dunque, sono al centro di quel sistema mentale di regolazione dell’esperienza emotiva che Linehan (1993a, 1993b) considera deficitario nel suo modello del Disturbo Borderline di Personalità. Solo grazie ad un efficiente monitoraggio metacognitivo è possibile, nel corso dello sviluppo cognitivo-emotivo: [1] comprendere la natura contestuale, relazionale e transitoria delle emozioni (come pure di tutti gli altri stati mentali); [2] costruire una "teoria" efficiente della relazione fra emozioni e precisi eventi ambientali; [3] assegnare a ciascuna emozione un nome appropriato. In una parola, solo grazie alle capacità metacognitive è possibile disporre, nel corso dello sviluppo, degli strumenti mentali che secondo Linehan costituiscono il sistema di regolazione delle emozioni.
Naturalmente, l’idea che da una relazione di attaccamento disturbata possa derivare un deficit delle funzioni mentali (metacognizione) che intervengono nelle modulazione dell’esperienza emotiva è del tutto in accordo con la tesi centrale dei modelli psicoanalitici collegati alla Psicologia del Sé, secondo la quale le funzioni d’oggetto-sé (di cruciale importanza per la capacità di auto-conforto) divengono deficitarie in relazione a precisi disturbi nelle prime relazioni d’oggetto. Grazie a tale accordo sostanziale, un modello della patologia borderline derivante dalla DA appare compatibile non solo con quello cognitivo-comportamentale di Linehan, ma anche con modelli psicoanalitici del Disturbo Borderline di Personalità come quello di Adler (1985).