Sostegno... emotivo

2014-10-16Pubblicato da Pietro Cesare

 

A volte un insegnante attento può affiancarsi allo psicoterapeuta diventando una preziosa risorsa nel processo di cambiamento. Uno degli autori ha visto con i suoi occhi, durante la sua attività clinica, situazioni di questo genere: un ragazzo di seconda media con un lieve disturbo di apprendimento, per esempio, aveva in seguito sviluppato una forma piuttosto grave di fobia sociale che gli impediva di entrare in classe. Un insegnante di sostegno di buon senso e di buona volontà, che oltre tutto lavorava in un’altra classe con un altro allievo, ha collaborato con lo psicoterapeuta, ha cominciato ad accogliere il ragazzo nell'aula di informatica, si è fatto aiutare da lui nel sistemare alcuni software che gli servivano con altri allievi, gli ha poi proposto di cominciare a preparare qualche interrogazione facendo da ponte tra il ragazzo e i suoi insegnanti, lo ha spinto a fare un compito in classe sempre nel'aula di informatica e in seguito a farsi interrogare da alcuni suoi insegnanti ma fuori dalla classe e non sotto gli occhi dei compagni. Tecnicamente ha messo in atto una forma di intervento che prende il nome di esposizione graduale. In pratica ha aiutato un ragazzo che altrimenti, con i soli metodi terapeutici o didattici tradizionali, difficilmente avrebbe superato questa difficoltà.
Un esempio molto interessante di percorsi di crescita psicologica che possono essere messi in atto da insegnanti direttamente nelle loro classi è contenuto nel lavoro di Rebuffo (2005), che fornisce una serie di percorsi operativi. L’obiettivo fondamentale di questi percorsi è che i bambini imparino l’ascolto di sé, inteso come capacità di sentire la tensione e il rilassamento del proprio corpo. Vengono poi proposti interventi per favorire la consapevolezza dei propri pensieri, dei propri comportamenti e delle proprie emozioni, come la felicità, la rabbia, la tristezza, la paura, l’autostima, anche attraverso un lavoro sul proprio dialogo interno. Viene infine illustrato come si può lavorare sulla gestione dei propri limiti. Un aspetto particolarmente significativo di questi percorsi è costituito dal fatto che ci sono sezioni specifiche dedicate agli allievi, che possono lavorare in gruppo, ma ci sono anche sezioni dedicate agli insegnanti e ai genitori.
Un altro esempio ci viene dalla favola di Sunderland (2005d; 2007b) che narra le vicende di Nonimporta. L’insegnante può lavorare con il suo allievo o i suoi allievi che hanno difficoltà a esprimere le proprie emozioni attraverso la storia di questo animaletto che, di fronte alle difficoltà, alle delusioni e alle amarezze, rispondeva sempre «non importa», con una rassegnazione triste e disadattiva. I bambini possono leggere la storia su un libro tradizionale (http://www.ilgiardinodeilibri.it/libri/__aiutare_bambini_esprimere_emozioni.php?v=3), oppure ascoltarla con un audiolibro (http://www.macrolibrarsi.it/libri/__aiutare-i-bambini-a-esprimere-le-emozioni.php), oppure giocare con la storia attraverso un software multimediale, imparando attraverso uno o più di questi strumenti a lasciarsi andare, a far uscire le lacrime senza paura di allagamenti, a far uscire la rabbia senza paura che questo provochi incendi devastanti. Ci si può così rendere conto che quando i sentimenti che Nonimporta cerca di tenere dentro sono troppi cominciano a traboccare fuori e allora sì che diventano pericolosi! È dunque molto meglio buttarli fuori. Persino il piccolo allagamento provocato dalle lacrime che finalmente cominciano a sgorgare rende felici dei piccoli granchi che stavano proprio cercando un posto per farsi un bagnetto. Ma la cosa più significativa è che, dopo questo pianto, Nonimporta si sente molto meglio e molto più leggero. Il lavoro della Sunderland è completato da un album di attività psicoeducative che possono servire a imparare a scaricare le proprie tensioni emotive con esercizi volti a riconoscere le emozioni che stanno rovinando la propria vita, a immaginare cosa succederebbe se si lasciasse andare la propria tristezza o la propria paura, a comprendere come si può fare a dire di no senza stare troppo male.
Un tema ricorrente di questo paragrafo, come il lettore avrà notato, è la possibilità per l’insegnante di svolgere un ruolo “quasi-terapeutico”, o forse è più corretto dire di sostegno emotivo. Bene, la favola di Nonimporta ricorda una storia clinica vera, che sembra fatta apposta per esemplificare questo ponte tra psicoterapia e interventi psicoeducativi. Da parecchi mesi Antonella, una bambina di nove anni, non era più la stessa. Prima brillante, allegra, piena di amici, gioia dei genitori e degli insegnanti; poi, all’improvviso certe mattine, si rifiutava di andare a scuola e, quando andava, era distratta, svagata, spesso senza i compiti svolti e con un rendimento al limite del defici¬tario. Il terapeuta al quale i genitori, preoccupatissimi, si erano rivolti, la lasciò parlare a lungo, di tutto, liberamente. Venne fuori, in una seduta emotivamente drammatica, la morte della nonna e la paura che Antonella aveva di piangere questa morte. Poi vennero fuori, sempre più nitidi, a volte strazianti, ma certamente liberatori, ricordi della vita di Antonella con la nonna. Infine, finalmente, le lacrime. Le storie di Antonella e di Nonimporta sono molto simili e questa somiglianza è la stessa che caratterizza, a volte, il lavoro dello psicologo e quello dell'educatore.
Altre volte !'insegnante può diventare «terapeuta egli stesso»: in mille diverse occasioni, ma soprattutto quando si tratta di mettere a punto programmi di prevenzione piuttosto che di cura; quando si tratta di modificare il clima emotivo e relazionale di una classe per favorire l'integrazione, la serenità, lo star bene a scuola.
I bambini degli esempi che abbiamo appena riportato hanno sicuramente bisogno, tra le altre cose, di imparare a leggere meglio e a comprendere quello che stanno leggendo, di scrivere meglio, di svolgere le quattro operazioni e di risolvere problemi di aritmetica e di geometria: ma non potranno mai raggiungere questi obiettivi, né molti altri, se il loro modo di pensare e le loro emozioni non si modificheranno almeno un poco. Dunque lo scopo (…) è proprio quello di mettere in luce gli aspetti emozionali più rilevanti dal punto di vista della strutturazione di un progetto educativo (aggressività, inibizione, autostima, ansia, depressione, rabbia) e di analizzare cosa si può fare perché lo sviluppo emotivo dei nostri bambini e dei nostri ragazzi sia il meno disturbato possibile, in modo tale che la loro integrazione diventi più completa e che ogni allievo sia messo nelle condizioni migliori, relativamente alle sue potenzialità, per imparare.

Il piano educativo individualizzato, Progetto di vita, Vol. 1, B. Ianes, S. Cramerotti, ultima edizione, pagg. 271-273, Erickson.

... e sempre al fine di cogliere e leggere riflessivamente gli eventi della vita e graduarne debitamente le emozioni, un "Nonimporta" eduardiano: "È cosa 'e niente". Buona lettura e buona visione.