le emozioni tra adolescenti ed adulti

2014-10-11Pubblicato da Stefano De Lisio

 

“Mio figlio,quinto ginnasio, è stato condotto con la classe a vedere “Scindler's List””. Ne è uscito sconvolto, restio a parlarne.Tra le verie classi presenti, c'erano parecchi ragazzi di scula media. Gli ho chiesto quale era stata la reazione dei compagni: quando vedevano gli ebrei nudi nei campi qualcuno, in particolare ragazze, ridacchiava e diceva “come sono brutti”. Sono gli stessi ragazzi che, con l'arrivo della bella stagione, rifiutano di fare una gita al mare insieme, perchè si mettono vergogna di esporre i loro corpi. Prendiamo una quindicenne che non riece a coabitare con il suo corpo, lo sente brutto e spregievole, facciamole vedere immagini di uomini e donne nudi che in lunghe file attendono il loro turno per la morte, e cerchiamo di indovinare le sue reazioni.
La frase “come sono brutti” segnala che l'identificazione è avvenuta; il risolino denuncia il disagio se non l'angoscia che ne deriva. Immaginiamo anche i rimproveri degli insegnanti presenti.
Cerchiamo di non dimenticare (la memoria!) che un ragazzo si trova statutariamente in posizione di inferiorità e impotenza di fronte all'adulto, e pertanto, posto dinnanzi a qualsiasi tipo di narrazione, proietta se stesso e si identifica spontaneamente con il debole, l'inferiore. Questo è il motivo per cui, con millernaria saggezza, la narrazione, dalla fiaba al romanzo di formazione, presenta al giovane storie nelle quali il debole e l'inerme grazie alle sue doti a agli opportuni aiuti, riesce alla fine a costruire l'edificio del suo futuro.
Che effetto gli deve fare invece una sotria dove il debole, spogliato dalla sue vesti, cioè dalla sua identità, si avvia senza ribellarsi all'annientamento insieme a milioni di suoi simili?
Non è pensabile che l'angoscia prodotta dalla sua immediata identificazione con la vittima, non produca a sua volta un segreto desiderio di identificarsi con il carnefice. Allora il senso di colpa connesso a un simile desiderio non potrebbe trovare sollievo finalmente nella negazione che tutto ciò sia realmente accaduto?
Quando un adolescente apostrofa, con la dovuta aggressività, il suo democratico insegnante dichiarando che gli amici del bar gli hanno garantito che i lager non sono mai esistiti, di tale messaggio sono possibili due letture (a parte quella politica che non mi interessa: non si può trattare un adolescente alla stregua dello storico revisionista). La prima, immediata, che sia un'affermazione provocante di autonomia giovanile contro il professore e il mondo adulto.
La seconda ne è l'esatto rovescio, e suona pressappoco: “Noi giovani preferiamo credere che questo orrore non sia mai esistito perchè ci angoscia troppo, e vorremmo da voi adulti rassicurazione o sostegno in proposito”. Probabilmente i messaggi sono tutti e due presenti insieme, credo però con prevalenza del secondo. Se è così, una risposta adulta tendente a schiacciare il giovane sotto la incontrovertibile verità dei fatti (la memoria storica) non può che ottenere l'effetto contrario: aumentare l'angoscia e la conseguente negazione. E il risentimento contro l'adulto capace solo di condannare e affermare la sua superiorità.
Un risposta che parta invece non dalle parole ma dallo stato d'animo soggiacente potrebbe essere del tipo .” E' perfettamente comprensibile che tu i tuoi amici desideriate negare che tutto ciò possa essere avvenuto, tutti noi vorremmo poterlo fare; e del resto siete in buona compagnia, perchè prima di voi lo hannno negato l'intera comunità internazionale con i suoi capi e le stesse vittime; e questo è un problema non meno tragico e importante del fatto stesso”.
Si aprirebbe qui un discorso sull'uomo, le sue angosce, le sue difese che, per quanto difficile e doloroso, avrebbe un duplice vantaggio: di attribuire ai sentimenti dell'adolescente, invece che una condanna sommaria, la drammatica dignità di un problema umano universale; e di offrire qualche spiraglio per una effettiva assimilazione della tragedia che è ben altra cosa da quell'operazione intellettualistica, per non dire scolastica, che viene predicata sotto il titolo di “memoria storica”.
I fatti, quelli di allora come questi che scorrono oggi sui teleschermi davanti agli occhi dei giovani, non possono essere assimilati: nemmeno un adulto formato riesce ad accettare fino in fondo l'impotenza dell'uomo di fronte a se stesso.
Ciò che possiamo fare è elaborare e integrare nel nostro io una parte almeno del significato di questi fatti, così come ci hanno insegnato uomini coraggiosi come Bruno Bettelheim e Vasilij Grossman.
Seguendo le loro orme, ai miei alunni, solo ai più grandi, cerco di far capire gli effetti del moderno stato totalitario sulla personalità degli individui, per poi discutere insieme che cosa si può fare, subito, per salvaguardare la propria autonomia personale, vera base della democrazia.
Parlo di queste cose solo dopo una convivenza con la classe sufficientemente lunga per dare ai ragazzi la sicurezza di essere rispettati.
Ciononostante non sono mai sicura di non aumentare in loro incertezza e paura nei confronti del mondo che li attende ( e Dio sa quanta ne hanno).
Trovo ingiusto caricare gli orrori del mondo sulle spalle fragili di una gioventù che non ne ha la responsabilità e non è tenuta a pagare i sensi di colpa degli adulti.
L'unica memoria che conta per l'adolescente è la storia delle relazioni personali che ha intrattenuto dalla nascita con i suoi familiari ed educatori; questa storia è troppo spesso intessuta di delusioni e fallimenti: sotto il manto di una permissività che maschera a stanto indifferenza e fastidio, l'educazione è troppo spesso addestramento alla sottomissione e all'ipocrisa: qualità tipiche di quei ceti sociali che sempre sono i più disponibili ad affidarsi alle sicurezze del potere totalitario.
Preoccupiamoci di formare giovani sicuri della propria autonomia e dignità personale, e quando verrà il loro tempo stiamo certi che faranno le scelte giuste.”

da “Insegnare al principe di Danimarca” di Carla Melazzini.


Ho scelto queste pagine scritte da Carla Melazzini, che si è occupata di adolescenti a rischio nella zona orientale di Napoli per molti anni, perchè ben rappresentano la complessità delle emozioni e del loro collegamento con le altre sfere. Se noi parliamo di emozioni in generale è facile che se ne riconosca la loro importanza, ma in ciò che descrive la Melazzini si vede come sia difficile accettare le emozioni dei ragazzi quando queste non si conciliano con la nostra morale e con le conoscenze di noi adulti. In noi che siamo vissuti con la cultura antifascita e democratica è facile avvertire un grande fastidio e una reazione istintiva di forte indignazione verso questi ragazzi che ridacchiano e sembrano indifferenzi ad una immane tragedia. Facciamo così prevalere in realtà la “nostra” storia e le “nostre” emozioni. Se ci fermiamo un attimo invece, osserviamo, e riflettiamo, potremmo notare come queste reazioni siano frutto di paure, di vissuti di non accettazione. Quindi è importante che alle emozioni emergenti venga invece dato un significato, che le si elabori insieme, non negando i fastidi, le difficoltà,ma cercando piuttosto di dare un nome ed una forma a ciò che si sta costruendo.
L'anno scorso mi capitò di vedere nella trasmissione di Fabio Fazio l'intervista ad una signora argentina (molto espressiva nel viso e dal sorriso tenero) che aveva avuto il nonno morto nei campi di concentramento e la figlia studentessa desaparecidos uccisa dalla dittatura argentina. Si vede il momento in cui la signora entra nella prigione dove fu portata la figlia per vari mesi e chiede ad un certo punto ad una donna che lavora nel carcere. (più o meno le parole sono queste, non sono riuscito più a trovare l'intervista su youtube). “ la notte ho sentito che all'esterno del carcere si sente il cinguettio degli uccelli, secondo lei mia figlia l'avrà sentito durante la prigionia?”E' stato bello vedere come la signora tentasse di umanizzare le emozioni, di dare un senso a quel dolore immane, e vedere allo stesso tempo l'imbarazzo della persona a cui venivano fatto le domande tutte di questo genere. Più avanti nel filmato si vede la signora andare in una scuola a narrare la sua storia, o meglio quella della figlia. Vengono fatti vedere dei filmati ai ragazzi. Ad un certo punto una studentessa si alza e cerca di fare ua domanda alla signora. La ragazza è visibilmente commossa, non riesce a parlare bene, la signora le sorride e le dice “lascia stare la domanda e vieni vicino a me ad abbracciarmi forte...” A volte le emozioni non possono essere espresse in parole, non possono essere oggetto di giudizi, ma se tra adulti e ragazzi si crea un ponte, una connessione, esse sono elementi necessari per la crescita individuale e di gruppo.

Stefano De Lisio