L’intelligenza emotiva: quando le emozioni fanno la differenza

2014-10-01Pubblicato da Palma Dell'Aiuto

 

Quante volte vi è capitato di trovarvi in una situazione in cui non siete stati in grado di gestire adeguatamente le vostre emozioni? E vi è mai successo di prendere una decisone sbagliata perchè non siete riusciti a interpretare correttamente le emozioni di chi avevate di fronte? La capacità di gestire le emozioni, al giorno d’oggi, riveste un’importanza di primo piano nelle nostre relazioni interpersonali, a prescindere dal contesto in cui esse abbiano luogo. In determinate situazioni, infatti, il nostro livello di Q.I. inteso come l’insieme delle capacità logico-matematiche, verbali e spaziali, può determinare soltanto una piccola parte della nostra performance: ci sono momenti, infatti, in a fare la differenza non è la nostra razionalità, bensì la nostra intelligenza emotiva. Per Intelligenza Emotiva, si intende la capacità di saper riconoscere, interpretare e gestire le proprie emozioni e quelle altrui. L’intelligenza emotiva constituisce sostanzialmente l’opposto dell’alessitimia, intesa come l’incapacità di riconoscere e descrivere le proprie emozioni, oltre che di distingure tra stati interiori e sensazioni corporee. Già presente nella concettualizzazione di Gardner, che la identificava con l’intelligenza interpersonale, il concetto di intelligenza emotiva venne studiato approfonditamente dallo psicologo statunitense David Goleman. Secondo questo studioso, alla base dell’intelligenza emotiva vi sarebbero due principali tipologie di competenze: competenze personali, ossia quelle competenze che ci consentono di gestire la nostra vita emozionale, permettendoci di riconoscere e controllare le nostre emozioni. competenze sociali, riferite alla capacità di saper “leggere” le emozioni altrui, in modo da essere in grado di interagire adeguatemente con chi ci sta vicino. A loro volta, queste due tipologie di competenze sono caratterizzate da abilità e capacità più specifiche: tra le competenze personali rientrano la consapevolezza di sé, l’autocontrollo e la motivazione; l’empatia e la gestione delle relazioni interpersonali rientrano, invece, tra le competenze sociali. La consapevolezza di sè si riferisce alla capacità di saper riconoscere le proprie emozioni, identificare le cause ed essere coscienti delle conseguenze che possono comportare. Questa abilità specifica di autoconsapevolezza richiede l’attivazione delle aree del cervello adibite al linguaggio, perchè implica la necessità di dover dare un nome a quella determinata emozione, e richiede anche la capacità di riconoscere i segnali fisiologici di attivazione emotiva. Un altro psicologo americano, John Mayer ha identificato 3 tipologie di individui in funzione del loro livello di consapevolezza: gli autoconsapevoli, caratterizzati da un elevato livello di consapevolezza di sè, che consente loro di riconsocere facilmente le prorprie emozioni e di gestire adeguatamente gli stati d’animo negativi, come la rabbia, l’ansia o la malinconia. i sopraffattii caratterizzati dalla scarsa capacità di interpretare le proprie emozioni, il che li rende incapaci di esercitare un qualche grado di controllo su di esse; i rassegnati, che pur conoscendo le proprie emozioni, sono caratterizzati dalla tendenza ad accettarle senza cercare di cambiarle. L’autocontrollo indica la capacità di saper controllare le proprie emozioni, e di governarle. É bene specificare che non si tratta di nascondere ciò che stiamo provando, bensì di esprimerlo nella forma più opportuna e vantaggiosa. Ogni emozione, infatti, implica una tendenza ad agire e per questo motivo risulta fondamentale essere in grado di gestirla ed esprimerla nella maniera più opportuno. Questa abilità, che in un certo senso può essere identificata con l’emotion work, ci aiuta ad essere maggiormente responsabili delle nostre azioni, ad ammettere gli errori evitando di cadere nella trappola dell’autosabotaggio), e influisce sulla nostra self-efficacy. La motivazione, si riferisce alla tendenza ad agire per soddisfare i propri bisogni e raggiungere i propri obiettivi nonostante le difficoltà e gli eventuali insuccessi. L’empatia, consiste invece nella capacità di riconoscere le emozioni degli altri, come se fossero i propri, attraverso una sintonia e una sensibilità che va oltre il comportamento verbale, e che ci porta ad immedesimarci nell’altro, pur tenendo come riferimento costante il nostro punto di vista. La gestione delle relazioni interpersonali indica invece la capacità di interagire efficacemente con gli altri,riuscendo a comunicare attraverso il canale verbale e quello non verbale ciò che stiamo provando in un dato momento, cercando anche di negoziare eventuali conflitti. Ma in quali contesti ci può essere utile l’intelligenza emotiva? Trattandosi di un insieme di competenze che favoriscono un’adeguata ed efficace relazione con se stessi e con gli altri, verrebbe da dire che torna utile in ogni situazione di vita quotidiana in cui ci relazioniamo con gli altri. Con il nostro partner, ad esempio, può aiutarci senza dubbio a superare eventuali incomprensioni, e ad essere consapevoli delle aspettative e dei bisogni legati alla relazione. In ambito lavorativo, un elevato Q.E. contribuisce a migliorare la nostra performance attraverso un’adeguata gestione dell’ansia e dello stress, un maggior senso di respnsabilità e una spinta motivazionale più elevata. Inoltre sortisce un effetto benefico evidente anche all’interno del clima organizzativo. Diverse ricerche hanno dimostrato che la presenza di leader caratterizzati da un’elevata intelligenza emotiva favorisce un miglioramento evidente all’interno del clima organizzativo in termini di coinvolgimento e commitment, nonchè un aumento significativo degli standard di efficacia ed efficienza riferiti alla performance dei dipendenti. In ambito organizzativo e lavorativo, inoltre, l’intelligenza emotiva risulta essere direttamente collegata all’aumento dell’impegno, dell’efficacia e della creatività. Secondo Cherniss (2001) invece, sarebbero proprio la leadership, il clima e la cultura all’interno dell’organizzazione a influenzare l’ I.E. attravrso la mediazione delle relazioni. Inoltre, un aspetto particolarmente interessante riguardante è quello che si riferisce alla relazione tra intelligenza emotiva e mobbing. L’intelligenza emotiva medierebbe, infatti, la percezione che l’individuo ha dell’evento scatenante (che può essere un’eventuale aggressione, o un’ingiustizia subita), influenzando la sua reazione all’interno del conflitto. Questa reazione in alcuni casi può essere di natura adattiva/costruttiva finalizzata alla risoluzione del conflitto attraverso un’adeguata lettura delle emozioni altrui. In altri casi, tuttavia, la risposta potrà essere di natura disadattiva/distruttiva, a causa dell’incapacità di gestire in maniera appropriata le proprie emozioni e di interpretare quelle degli altri, con una conseguente escalation del conflitto. La relazione tra intelligenza emotiva e mobbing è stata indagata e confermata da una ricerca effettuata da G. Giorgi e V. Majer e condotta su un campione di 412 dipendenti appartenenti a 4 diverse realtà organizzative italiane. Dalla ricerca è emerso che i soggetti caratterizzati da un minor livello di intelligenza emotiva riportavano percezioni più frequenti e persistenti di azioni vessatorie sul luogo di lavoro. In funzione di quanto detto, è evidente che l’intelligenza emotiva rivesta un ruolo fondamentale all’interno delle nostre relazioni interpersonali sia nella vita privata che nel constesto lavorativo, anzitutto perchè ci aiuta ad essere maggiormente consapevoli di ciò che stiamo provando, consentendoci di gestire anche situazioni particolarmente stressanti. Inoltre, perchè ci fornisce la chiave di lettura per interagire in maniera adeguata ed efficace con chi ci sta accanto, perchè in determinate circostanze è proprio vero quanto sostenuto da Antoine de Saint-Exupéry: «Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.».