Gioco, legami ed emozioni

2014-09-29Pubblicato da Giuseppe Esposito

 

Prendo spunto dal filmato postato da Marco per cominciare la discussione e la co-costruzione di uno spazio di riflessione sul ruolo delle emozioni nel coordinare le attività della mente.
Vorrei partire da alcune parole chiave e metafore, denominazioni di oggetti carichi di significato, talmente evocative e potenti che bisogna adoperarsi per arginare la loro forza. Le parole sono: occhi, gioco, fantasia, ballo, corda, legami, musica, contatto. Ce li hanno mostrati due orfani: Maria e un bambino disabile, un Nessuno, un Ulisse senza nome che viaggia su una sedia a rotelle, che non parla e non può autonomamente spostarsi. Un disabile senza nome, perché spesso, i disabili sono trattati in quanto disabili uguali ad altri disabili e la loro diversità non è vista fuori dal loro handicap, in quanto è sottolineata la loro uguaglianza con “la disabilità”. Insomma, questi bambini mancano degli affetti genitoriali, ma Maria, il personaggio nel quale potremmo identificarci in quanto siamo chiamati alla professione di educatori, riesce ad ancorarsi ad altro, non alla disabilità esteriore ma alla interiorità che passa attraverso gli occhi di un bambino. Ritorniamo però alle metafore da arginare o meglio, da confinare o definire. Definirle significa prima di tutto vederle, coglierle e quando colte, viste, già riposte in uno spazio troppo angusto, uno spazio emotivo che è subito in pericolo esondazione come il mare delle emozioni. Il mare che per gli psicoanalisti è la madre, l’affetto materno (quello che è mancato ai due bambini in quanto orfani) è anche il mondo emotivo inconscio, l’implicito che possiamo cogliere dopo, ciò che non si contiene ma si tenta sempre di fare entrare anche in un posto piccolo poiché questo è la difficoltà che ci compete. Mi viene in mente, a questo proposito la storia che raccontava Sant’Agostino (o Agostino d’Ippona): «Mi ero alzato presto quel mattino, e camminavo lungo la riva del mare. Mi capita spesso di fare così quando la mia mente non riesce a comprendere, cose più grandi me: con la sola forza della mia intelligenza cercavo di spiegarmi tante cose di Dio. Ero così preso dai miei pensieri che quasi non mi ero accorto che di fronte a me, a quell'ora dell'alba stava giocando un bambino. Aveva fatto una buca nella sabbia e continuava a correre da lì fino a riva, avanti e indietro, trasportando ogni volta un po' d'acqua. "A che gioco stai giocando a quest'ora?" gli chiesi. Il bambino mi rispose che non era affatto un gioco, e che voleva solo riversare tutto il mare in quella buca. Sorridendo per la sua impresa cercai di farlo ragionare, dicendogli che non ci sarebbe mai riuscito, perché il mare è troppo grande per essere contenuto in una piccola buca nella sabbia. Anche lui mi sorrise, ma continuò nel suo gioco. Così proseguii il mio cammino. Non avevo fatto nemmeno dieci passi che il bambino alle mie spalle rispose. "Forse hai ragione Agostino, ma sappi che è più facile per me travasare qui le acque dell'intero Oceano che alla tua mente scorgere i confini dell'amore di Dio"».
Ritorniamo agli occhi della orfana Maria e del bambino. Erano grandi, occhi improbabili per dimensione, come solo i personaggi buoni di Walt Disney possono avere perché loro hanno cuore. Grandi per dirci che bisogna creare le condizioni affinché le emozioni che nascono per partecipare ad uno scambio, abbiano percorsi agevoli in ingresso e in uscita la relazione con l’altro richiede necessariamente uno scambio di emozioni, una via e un passaggio, e gli occhi sono la “via regia” per accedere all’inconscio, che intendiamo qui come ciò che non è stato ancora detto con le parole, l’implicito. Emozioni e implicito sono ciò che ancora non è significato, non è elaborato, su cui il pensiero non è stato ancora rivolto, ma non per un lavoro di appraisal, di valutazione di ciò che provo, ma per quel lavoro di co-costruzione di senso, di spazio, questa volta, interpersonale in cui il gioco e la fantasia possono trovare accoglienza.
Ecco altre due parole chiave: gioco e fantasia. Agostino pensava che il bambino stesse giocando, ma il piccolo c’ha tenuto a ribadire che quella era una cosa seria; Maria gioca con il bambino e anche per lei è una cosa seria. Gioco e fantasia non possono essere separati. È proprio attraverso il gioco che si “agisce” (azione senza pensiero) la fantasia che prende spazio nella realtà di relazione, quella realtà che riguarda due individui che prendono sul serio il gioco e che non lo distinguono da ciò che è realtà. Già G. Bateson ci insegnò come sia “impossibile” per il bambino meta-comunicare sul gioco e dire “questo è un gioco” poiché quello che fa è ciò che lui fa e non altro. Il gioco del bambino di Agostino, come quello di Maria e del bambino sulla sedia a rotelle, non sottintende un “come se” del gioco, ma "è quello che è". In questo senso gioco e fantasia si fondono, perché fantasia è pensare lateralmente, è pensare altro da ciò che pensano quelli che si indignano, e ci ritengono “diversi” quando le divergenze dal gioco preso troppo sul serio sono evidenti. Ma è proprio quando il gioco è preso troppo sul serio e diventa regolamentato e quindi dicibile come gioco (le amiche di Maria vogliono continuare a saltare la corda ma lei va via immaginando di far saltare il bambino che immobile sulla sedia non potrebbe assolutamente partecipare al gioco del saltare) che la fantasia muore.
La fantasia tenta di occupare uno spazio nella realtà di relazione; uscendo fuori, fa rincasare il già dato, il mondo precostruito, il congelato, ed esce fuori insieme alle emozioni cui sono associate le fantasie. Il gioco, le emozioni e le fantasie associate diventano il possibile (non sempre praticabile) inventato e tale possibile diventa l’impossibile dell’”essere cavaliere o principessa” (nel gioco di Maria), ma il possibile dell’emozione ad esso collegata. Il gioco è quindi condivisione di emozioni possibili di situazioni impossibili.
Ora l’immagine della corda. Richiama i legami, ciò che lega, che tiene insieme. Il ballo tra Maria e il bambino unisce, crea unità, lega. La musica invita al ballo, ma vi era una spinta originaria che ha portato Maria a “mettere su” la musica per curare il legame per creare quella sintonia, quella unione già efficacemente rappresentata da quella corda che spinge il bimbo al movimento, ma che lega anche Maria al bambino. La sintonia è oscillare insieme sulla stessa lunghezza d’onda, è quell’intreccio del legame. La corda trovata da Maria sulla sedia del bambino improvvisamente vuota, simbolo della unione curata, ora è memoria del legame stretto tra loro, di quella corda-intreccio che Maria terrà al suo polso simbolo ancora di emozioni forti come il poeta ci insegna quando gli “tremano le vene e i polsi”.