Icaro tra psicoanalisi e neuroscienze

2014-11-18Pubblicato da Antonio Cataldo

 

Nel dipinto La caduta di Icaro di Carlo Saraceni (al museo di Capodimonte) l’autore raffigura il giovane mentre precipita all’indietro, con la parte anteriore del corpo rivolta verso il sole. Affianco il padre assiste sgomento alla scena volgendo a lato la testa, intento a proseguire il volo nella corretta posizione e ad un’altezza inferiore, pena lo scioglimento della cera che tiene insieme le ali.

Una lettura psicoanalitica del mito di Icaro di tradizione junghiana e ripresa da James Hillman fa dello sventurato figlio di Dedalo un rappresentante del complesso archetipico del Puer (in buona compagnia di altri rappresentanti dei miti greci – come Ermes, Ganimede, Giacinto, Narciso, Adone – e di altre centrali figure delle culture antiche – il Fanciullo divino, Mercurio, Baldur, Gesù, Krishna). Il Puer, o meglio il Puer aeternus (come indicato da Jung) indica la dominante archetipica costituita da figure che sono manifestazioni dell’aspetto spirituale del Sé, che offrono un contatto diretto con lo spirito. Gli impulsi che si ascrivono a questo archetipo sono i messaggi dello spirito o chiamate dello spirito stesso. Elementi comuni alle figure puer sono il suo essere debole sulla terra e nel mondo orizzontale dello spazio-tempo, il seguire una direzione verticale e non orizzontale, il suo essere non temporale, impaziente, votato ad un vagabondare senza attaccamenti (diverso dall’odissea, che invece contempla il ritorno a casa), il suo rifuggire dalla coerenza e dalla ripetizione come strumenti di conoscenza. Il Puer non si perfeziona con il tempo dato che è primordialmente perfetto. In lui non c’è evoluzione perché onnisciente e non bisognoso d’altro (e in lui convivono i caratteri maschili e femminili), manifestandosi con un volto immutabile nel tempo. Il Puer è però privo di anima: possiede intuizione, ambizione spirituale, gusto estetico, ma non ha una vera e propria psicologia, intesa come padronanza dei moti dell’anima. Il suo è un atteggiamento estetico, non psicologico: la vita diventa letteratura, scienza o azione irriflesse, non un’esperienza psichica. E ciò che non viene riflesso tende a diventare ossessivo: il puer si muove troppo rapidamente, pretende troppo, va troppo lontano, ha fantasie infantili di onnipotenza. Per cui, pur costituendo il contatto diretto con lo spirito, egli rischia di rompere questa connessione diretta, e di cadere con le ali spezzate (come avverte Hillman). Una volta caduto, il puer perde l’urgenza dei suoi appetiti e si trasforma in Senex, nel complesso archetipico simboleggiato dal Vecchio Re malato dal cuore indurito, ed anche dal Vecchio Saggio infermo. Il senex trova il sua riscontro mitologico in Saturno/Crono, principio dell’ordine, della temporalità, della gerarchie e delle scienze esatte, così come del potere. Il suo carattere è freddo, pesante, plumbeo, denso, il suo stato d’animo è triste, depresso, melanconico. Ma è anche dotato di una smisurata rapacità, per cui divora i figli ed esige l’estremo sacrificio (come Abramo e Mosè). Egli trascende la pura senescenza biologica poiché la sua è una vecchiaia psichica, che rimanda all’ordine, al raggiungimento dello scopo, alla morte che giunge con la perfezione e l’ordine, conseguenza della realizzazione e dell’appagamento.

Per evitare di trasformarsi in un senex negativo, al puer basta un minimo di consapevolezza psicologica che la psiche permette di avere grazie alla funzione riflessiva, ossia mediatrice, che la psiche stessa opera nei confronti dello spirito e dei significati che veicola. Ogni nuova idea, a qualunque età sorga, richiede psichizzazione, ossia deve essere mediata dall’anima.

Il discorso psicoanalitico trova un sorprendente riscontro nel campo delle neuroscienze. Lo slancio di Icaro verso il sole, la sua voglia di osservarlo da vicino, l’inebriante senso di libertà e onnipotenza che gli fanno sottovalutare i saggi e premurosi consigli di Dedalo sono un chiaro e perfetto esempio del comportamento psichico adolescente. Comportamento che, a differenza di quello adulto, non ha la capacità di azioni sensate e mature, quali il controllo degli impulsi e la regolazione delle emozioni. Ciò è dovuto al fatto che la parte del cervello che presiede all’intelligenza sociale, alla capacità di adattamento all’ambiente, alla regolazione delle emozioni è la corteccia cerebrale frontale, i cui neuroni si sviluppano solo dopo i vent’anni. Difatti all’inizio dell’adolescenza la corteccia frontale è l’unica regione del cervello a non aver raggiunto i livelli di corpi cellulari neuronici dell’età adulta. Tale ritardo di maturazione fa sì che la competenza cognitiva degli adolescenti sia inferiore a quella degli adulti, nei quali l’attività di alcune parti del sistema limbico – l’area del cervello all’origine delle emozioni e della loro gestione – è regolata dalla corteccia frontale.

Nel cervello degli adolescenti il sistema limbico non è regolata dalla risposta della corteccia frontale. La struttura limbica primaria, l’amigdala, viene attivata e produce una risposta che la regione cortifrontale non smorza, come negli adulti. Ciò comporta che negli adolescenti le emozioni sono più intense. Inoltre il ritardo nella maturazione della corteccia frontale spiega anche perché essi valutano meno i rischi nell’intraprendere un’azione pericolosa. Robert Sapolsky, professore a Stanford, così definisce gli adolescenti: “Essi hanno il cuore in mano, il sistema limbico in tumulto e la corteccia frontale che cerca disperatamente di regolare le emozioni”. Ma gli adolescenti sono anche dotati di una forte carica empatica che li rende sensibili ai dolori degli altri. Questo è il terreno che emancipa il cervello dagli adolescenti da un destino biologicamente determinato: basta far leva sulla comunicazione emotiva per coinvolgerli con successo nei progetti educativi e formativi della scuola, proprio perché la corteccia frontale, maturando per ultima, è più soggetta al modellamento che le deriva dall’esperienza, dall’interazione sociale (ed è quindi meno determinata geneticamente). Il nostro cervello è dotato di una certa plasticità che permette lo sviluppo di connessioni sinaptiche e di processi neuronali ad ogni età, e in special modo nell’adolescenza. La pedagogia e la didattica possono quindi concentrarsi, come già accade, sull’educazione dell’intelligenza emotiva o sociale, quale fattore di maturazione degli allievi, sulle capacità e competenze relazionali che permettono di vedere le cose dal punto di vista degli altri, di controllare gli impulsi, di autoregolarsi, di collaborare ai gruppi sociali in cui si è inseriti.